Una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
Spazio vuoto, disallestito, nudo. Le sole luci di sala. Neanche la lucina verde delle casse. No. Niente da fare. Spente. Chi è in scena non si è neppure cambiato, stessi vestiti. Dov’è lo spettacolo? Appunto, non c’è. E che succede allora? Niente, appunto. Il problema è proprio questo. Che non succede niente. E mica solo nello spettacolo. Anche altrove, fuori, dappertutto.
Quale che sia l’evento considerato, la nuova cosa successa - personale pubblica, questa o quella, quale che sia il peso - a guardare davvero in profondità - andando proprio al fondo, al fondo delle cose - c’è sempre come la sensazione che — No. Non è veramente successo qualcosa. Tutto decade e presto si spegne. Nulla ci soddisfa o ci tocca più del dovuto. Niente diventa simbolo, immagine del mondo. Il teatro non c’entra, lo rende solo particolarmente evidente. Come si fa succedere qualcosa?
Quando le parole - tac - afferrano le cose? Quando l’azione sì, lo senti che ha un effetto? L'incapacità di rappresentare si fa immagine di un’altra incapacità: quella di vivere. Il qui e ora del teatro, libero da finzioni, inizia a impregnarsi per davvero di significati nuovi. L’impossibilità un canale vivo di comunicazione Parola, gesto, spasmi convulsi, nuovi files si aprono di continuo ma per quanto ci si avvicini nulla riesce mai a cogliere davvero il punto. Ogni nuovo tentativo lascia un’eco, un sedimento che si cumula, un solco sempre più presente nel vuoto dello spazio. Se qualcosa infine appare lo fa solo in quanto proiettata da un di dentro di chi osserva. Il luogo della rappresentazione si sposta dalla scena vuota al retro dei suoi occhi. Come quando si aspetta un ceffone e non arriva. Dov’è finito? Dentro di noi.